E’ sempre più necessario sviluppare una teoria femminista della violenza femminile.
I rapporti ufficiali sui crimini negli Stati Uniti e mondo anglosassone indicano che negli ultimi due decenni il divario di genere per aggressioni aggravate, rapine e aggressioni semplici si è ridotto realmente, alcuni Autori invece sostengono che la riduzione sia a causa di diversi cambiamenti nelle politiche che hanno introdotto nuove tipologie di reati che hanno portato ad un aumento degli arresti di ragazze.
Questo aumento di reati da parte delle donne è vero? È il prodotto di nuove forme di controllo sociale, di cambiamenti nei metodi di registrazione delle informazioni, di cambiamenti politici, è un aumento della violenza delle ragazze oppure è lo specchio di un mutato atteggiamento nei confronti delle donne autrici di reato?
In sintesi, le spiegazioni per l’aumento dei tassi di violenza femminile rimangono controverse.
La violenza femminile in qualche modo minaccia anche le vecchie interpretazioni femministe della femminilità intese come “sesso debole” e come “donna vittima” e le studiose femministe (non tutte!) sono spesso restie ad accettare e riconoscere l’uso della violenza da parte delle donne. Questa modalità fa si che si posizioni la violenza femminile in un contesto meno grave, ovvero di aggressività sociale e relazionale oppure di uso di violenza per autodifesa contro partner violenti.
In realtà è abbastanza preoccupante voler spiegare la maggior parte dei casi di violenza femminile come risultato del controllo sociale, della vulnerabilità o della vittimizzazione perché rappresentare la donna violenta come vittima piuttosto che come autrice fa si che alla donna, proprio in quanto donna, non sia consentito di apparire moralmente o personalmente colpevole. Così come la costruzione nei mass media della donna violenta come “pazza”, “cattiva” o “vittima”. Queste modalità rafforzano il costrutto della donna-vittima riposizionando quello delle azioni della donna violenta in un contesto di responsabilità ridotta.
La ricerca femminista, quindi, ha bisogno di affrontare la specificità dei contesti in cui le donne usano la violenza, come varia e cosa significa.
In questo momento socio-culturale è importante che ci si occupi di criminologia femminista. Perché dobbiamo capire, e poco se ne parla nella criminologia, del contenuto di genere del comportamento e del crimine. Sia in ambito maschile sia femminile, il contenuto legato al genere viene studiato poco pur essendo molto importante per la comprensione dell’azione comunicativa deviante. Non se ne tiene conto anche negli aspetti più squisitamente criminologici, nelle statistiche per esempio per quanto riguarda i reati, negli interventi di prevenzione oppure nel trattamento. E comunque tutti gli ambiti più finemente di applicazione del diritto penale, dove noi spesso vediamo una disparità di applicazione del diritto quando si giudica un’autrice di reato, quando ci occupiamo di reati per così dire “insoliti” per una donna. Spesso ravvisiamo come il diritto penale venga applicato in base a degli stereotipi legati proprio al genere dell’autrice del reato.
Per esempio è capitato che una mia cliente, che di mestiere si prostituiva, sia stata valutata come donna-prostituta e quindi poi giudicata assolutamente in modo più grave soprattutto per quanto riguarda la percezione della gravità del reato, rispetto al fatto se lo stesso reato fosse stato compiuto da una buona e brava madre di famiglia.
Questi stereotipi imbrigliano le donne nella decodifica del comportamento-reato, soprattutto rispetto al contenuto di genere nel e del reato stesso.
Questi aspetti diventano fondamentali per capire l’impatto del preconcetto nell’ambito della giustizia, rispetto alle aspettative del ruolo sociale e culturale, preconcetto spesso determinato dallo status sociale dell’autore o autrice di reato. E questo lo vediamo soprattutto quando l’autrice è una donna, povera e con una cultura insesistente.
Parlare di criminologia femminista è attuale, soprattutto dopo il lockdown poichè stanno aumentando le tipologie di sfruttamento delle donne, di perdita del lavoro e dell’autonomia economica con un ritorno all’essere casalinghe “per forza”.
Parlare di criminologia femminista significa parlare anche di pregiudizi, degli interventi e di violenza di genere, di vittimologia, di giustizia penale e di criminalizzazione delle donne e del corpo femminile, ma anche degli stereotipi delle donne che lavorano in ambito giudiziario. Dove il ruolo delle donne per esempio è legato a un concetto di femminilità ed esclude la commissione di alcuni reati, oppure vengono letti dal punto di vista biologico interpretati e legati al femminile, per esempio la depressione post-partum.
Dobbiamo sempre più riflettere sulla criminalità nelle rappresentazioni di genere, ma soprattutto sulla destrutturazione di questi concetti per rifondare un’attenzione al reato, alle dinamiche socioculturali della devianza.